Alla fine il re si batte la fronte, gli splendono gli occhi, li aureola il nimbo dell’ispirazione, E se portassimo a duecento frati il convento di Mafra, macché duecento, macché cinquecento, mille, sono sicuro che sarebbe un’azione di non minor grandezza della basilica che non si può fare. L’architetto ponderò, Mille frati, cinquecento frati, sono molti, maestà, finirò col dover fare una chiesa grande come quella di Roma, per poterceli far entrare tutti, Allora, quanti, Diciamo trecento, e anche così sarà già piccola per loro la basilica che ho disegnato e che si sta costruendo, con molti indugi, se mi è consentito l’appunto, Vada per trecento, non si discute più, è questa la mia volontà, Così sarà fatto, se vostra maestà darà i necessari ordini.
Furono dati. Ma prima si riunirono, il giorno dopo, il re con il provinciale dei francescani dell’Arrébida, il tesoriere e, di nuovo, l’architetto. Ludovice portò i suoi disegni, li stese sul tavolo, spiegò la pianta, Qui è la chiesa, a nord e sud queste gallerie e questi torrioni sono il palazzo reale, dalla parte di dietro rimangono le dipendenze del convento, ora, per soddisfare gli ordini di sua maestà, dovremo costruire ancora più indietro altri corpi, c’è qui un monte di pietra dura che sarà una faticaccia minare e far scoppiare, tanto ci è già costato intaccarne la falda per raddrizzare il piano.[...]
Si è ritirato, profondendosi in riverenze, João Frederico Ludovice per andare a correggere i disegni, è rientrato il provinciale nella sua provincia per predisporre gli adeguati rendigrazia e dare la buona novella, è rimasto il re, che sta a casa sua e aspetta ora il ritorno del tesoriere che è andato a prendere i libri della contabilità e quando quello torna gli chiede, dopo che sono stati messi sul tavolo i grossi infolio, Allora, dimmi un po’ come stiamo a dare e avere. Lo scritturale porta la mano al mento come se entrasse in profonda meditazione, apre uno dei libri come per pronunciare una cifra decisiva, ma corregge entrambi i movimenti e si accontenta col dire, Sappia vostra maestà che, di avere, abbiamo ogni volta meno, e di dare, dobbiamo ogni volta di più, Già il mese scorso mi hai detto la stessa cosa, E anche l’altro mese, e l’anno passato, di questo passo finiremo per vedere il fondo del sacco, maestà, E ben lontano da qui il fondo dei nostri sacchi, uno in Brasile, l’altro in India, quando si esauriranno lo sapremo con un tale ritardo che potremo dire, in fin dei conti eravamo poveri e non lo sapevamo, Se vostra maestà mi perdona l’audacia, io oserei dire che siamo poveri e lo sappiamo [...]
Ancor prima che João Frederico Ludovice terminasse i disegni del convento ampliato, un corriere reale galoppò a Mafra con ordini imperativi che si cominciasse immediatamente a spianare il monte, per guadagnare così un po’ di tempo. [...]
Così fu fatto, partirono il corriere e la scorta, ora al passo, e l’intendente aprì i suoi ordini, dopo aver baciato reverentemente il sigillo, ma quando ebbe finito di leggerli impallidì tanto che il sottintendente credette che si trattasse della destitu- zione dall’incarico, col che avrebbe forse potuto trarre giovamento la sua carriera, ma subito si disilluse, già il dottor Leandro de Melo si ricomponeva, già diceva, Al lavoro, al lavoro, e in pochi minuti si riunirono il tesoriere, il mastro carpentiere, il mastro muratore, il mastro scalpellino, il fattore capo, l’artificiere, il capitano dell’esercito. [...]
Il tesoriere disse che, per pagare le spese relative non aveva bisogno di calcolare il monte, disse il mastro carpentiere che il suo mestiere erano il legno, il truciolo e la segatura, disse il mastro muratore che lo chiamassero per alzare pareti e collocare pavimenti, disse il mastro scalpellino che si occupava solo di pietra tagliata, non da tagliare, disse il fattore capo che i buoi e le bestie vi sarebbero andate quando necessarie, e queste risposte, che sembrano di gente indisciplinata, sono soltanto di gente sensata, a cosa sarebbe servito che tutto questo personale andasse a guardare una montagna quando sapevano bene quale fosse e quanto sarebbe costato toglierla di là. [...]
In una parte del terreno al di là delle pareti alzate a levante, il frate ortolano aveva già piantato alberi da frutto e c’erano varie aiuole, dei legumi, delle siepi fiorite, per il momento solo promessa di frutteto e orto, sospiro di giardino. Tutto questo sarebbe stato spazzato via.
da Memoriale del convento,
di José Saramago, 1982
Contro
-
Sovraccarica la rete infrastrutturale (strade, fognature...) e gli spazi serventi del carcere esistente.
-
Se non è prevista acquisizione di nuovi terreni (come per i nuovi padiglioni previsti dal Piano Carceri), l’intervento satura gli spazi vuoti all’interno delle mura andando ad eliminare le aree per le attività trattamentali e per l’ora d’aria.
-
È un sistema continuamente ampliabile e reiterabile e che si presta a micro interventi non risolutivi.
-
È una maniera silente di creare nuovi spazi detentivi, rimanendo oscura alla maggior parte dell’opinione pubblica.
-
Contro di CARCERE ARTICOLATO.
Pro
-
Realizzazione più semplice e più economica per creare nuovi spazi (stessa rete infrastrutturale e impiantistica).
-
Qualora l’intervento avvenisse all’interno delle mura, non è nessaria l’acquisizione di nuovi terreni.
-
Pro di CARCERE ARTICOLATO
AMPLIARE IN ORIZZONTALE
Il sovraffollamento carcerario è in stato di continua emergenza: la creazione di nuovi posti detentivi sembra essere l’unica soluzione presa in considerazione dalle amministrazioni.
L’ampliamento in linea orizzontale permette la reiterazione di un modulo esistente in modo semplice ed economico. È questa la pratica maggiormente adottata dal Nuovo Piano Carceri. In molte carceri italiane, padiglioni detentivi di recente edificazione stanno saturando gli ultimi spazi liberi dentro le mura.