Il ragazzo è immobile, ritto davanti al recinto del lupo. Il lupo va e viene. Gira in lungo e in largo senza mai fermarsi. ‘Che scocciatore, quel tipo...’.Ecco quel che pensa il lupo. Sono ormai due ore che il ragazzo sta davanti alla rete, piantato lì come un albero gelato, a guardare aggirarsi il lupo. ’Che vuole da me?’ Questo si chiede il lupo. Quel ragazzo lo turba. Non lo spaventa (un lupo non ha paura di niente), ma lo turba. ‘Che vuole da me?’ [...] Rimane in piedi, immobile, silenzioso. Solo i suoi occhi si muovono: seguono il viavai del lupo, lungo la rete. ’E che, non ha mai visto un lupo?’
Dal canto suo,il lupo non riesce a scorgere il ragazzo che una volta su due. Perché non ha che un occhio, il lupo. Ha perduto l’altro lottando contro gli uomini, dieci anni fa, il giorno che fu catturato. All’andata dunque (se quella si può chiamare andata), il lupo vede lo zoo tutto intero, con le sue gabbie, i bambini che impazzano e, in mezzo a loro, quel ragazzo del tutto immobile. Al ritorno (se quello si può chiamare ritorno), il lupo non vede che l’interno del recinto. Un recinto vuoto, perché la lupa è morta la settimana passata. Un recinto triste, con la sua unica roccia grigia e il suo albero morto.
Poi il lupo fa dietrofront, ed ecco lì di nuovo il ragazzo, col respiro regolare che emana vapore bianco nell’aria fredda. ’Si stancherà prima di me’ pensa il lupo continuando il suo andirivieni. E aggiunge: ‘Sono più paziente di lui’. E ag- giunge ancora: ‘Io sono il lupo’.
Ma il mattino dopo, svegliandosi, la prima cosa che il lupo vede è il ragazzo, in piedi davanti al recinto, sempre nello stesso punto. Per poco, il lupo non è trasalito. ’Non avrà mica passato la notte qui!’ Si è controllato in tempo e ha ripreso il suo andirivieni come se niente fosse. È un’ora, ormai, che il lupo trotta. Un’ora che gli occhi del ragazzo lo seguono. [...]
Posandosi al suolo, le zampe non fanno rumore. Continua ad andare da un capo all’altro del recinto: si direbbe il pendolo silenzioso di un grande orologio. E gli occhi del ragazzo hanno un movimento lentissimo, come se seguissero una partita a tennis al rallentatore. ’Che ho, da interessarlo tanto?’ Il lupo aggrotta le sopracciglia; piccole onde di pelo ritto vanno a smorzarsi intorno al muso.
Gli secca porsi tutte quelle domande a proposito del ragazzo. Si era ripromesso di non interessarsi mai più agli uomini. E, da dieci anni, mantiene la parola: non un solo pensiero per gli uomini, non uno sguardo, niente. Non per i bambini che fanno i pagliacci davanti alla sua gabbia, né per l’inserviente che gli getta la carne da lontano, né per i pittori della domenica che vengono a ritrarlo, né per quelle mamme idiote che lo indicano sbraitando ai loro bambini: «Ecco, quello è il lupo, se non fai il bravo te la vedrai con lui!». [...]
Fuori, diritto come una «i» (col puntino formato dal vapore bianco), il ragazzo lo fissa. ’Peggio per lui’ decide il lupo. E smette di pensare al ragazzo. Tuttavia il giorno dopo il ragazzo è sempre là. E il giorno seguente. E l’altro ancora. Così che il lupo è obbligato a ripensare a lui. ’Ma chi è? Che vuole da me? Non fa niente tutta la giornata? Non lavora? Niente scuola? Niente amici? Niente genitori? E che?’ Un mucchio di domande che gli rallentano la marcia. Si sente le zampe pesanti. Non è ancora la stanchezza, ma quasi. ’Incredibile!’ pensa il lupo. Domani, almeno, lo zoo rimarrà chiuso. È il giorno del mese dedicato alla cura delle bestie, alla pulizia delle gabbie. Niente visitatori,quel giorno. ’Mi sarò sbarazzato di lui’.
Neanche per sogno. Il giorno dopo, come tutti gli altri giorni, il ragazzo è là, più che mai, tutto solo davanti al recinto, nel giardino zoologico completamente deserto. ’Oh, no!’ geme il lupo. Eh, sì! Improvvisamente il lupo si sente molto stanco. C’è da pensare che lo sguardo del ragazzo pesi una tonnellata. ’D’accordo’ pensa il lupo. ’D’accordo! L’hai voluto tu!’ E, bruscamente, si ferma. Si siede eretto, proprio davanti al ragazzo. E anche lui si mette a fissarlo.
da L’occhio del lupo,
di Daniel Pennac, 1984

continua con
Contro
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Totale mancanza di intimità.
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Riconoscibilità del detenuto e conseguente stigmatizzazione.
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Grosse similitudini con la gogna medievale.
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Facilità di comunicazione diretta con il mondo della criminalità.
Pro
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Esasperazione del concetto di CARCERE CATTEDRALE.
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Estrema consapevolezza della presenza del carcere, ma soprattutto della vita del detenuto.
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Non solo presa in carico, ma responsabilità personale. Sei tu, cittadino, disposto ad infliggere questa sofferenza che vedi?
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Spettacolarizzazione della pena come monito.
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Azione di controllo sul controllo: difficoltà di abusi.
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Comunicazione diretta con familiari.
CARCERE TRASPARENTE
Maggiore è il contatto fisico e visivo del carcere con la città, maggiore è la consapevolezza che si genera nell’opinione pubblica.
Il carcere trasparente viene teorizzato durante l’Illuminismo: un’idea pedagogica in cui ognuno possa vedere e controllare ciò che avviene nel carcere stesso.