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Se ci si sposta a 50 chilometri a nord di Nuoro, immersa nel verde, e fra le montagne di Onanì, si scopre una realtà carceraria completamente diversa dalle altre. È la casa di reclusione di Mamone che si estende su 2700 ettari, una struttura aperta, dove i detenuti si dedicano ad attività agricole e di allevamento. In questa colonia ci sono solo persone che devono scontare una pena inferiore a quattro anni. Su 250 solo uno su cinque è italiano. I detenuti che lavorano vengono retribuiti dal ministero. Rispetto ad alcuni anni fa, oggi con la riduzione dei fondi per le retribuzioni delle mansioni ha portato a un ridimensionamento delle ore di lavoro, per permettere a tutti di lavorare almeno tre ore al giorno e guadagnare circa 400 euro al mese: “Fino a poco tempo fa ci sono stati extracomunitari che si facevano arrestare e condannare appositamente per venire in questo carcere a lavorare. Poi con i soldi guadagnati acquistavano casa nel loro Paese”. In questo posto isolato dal mondo c’è tutto quello di cui un’azienda agricola si può occupare: dall’allevamento di cavalli, ai maiali selvatici, ai bovini e ovini. Tutto basato su prodotti biologici, coltivati qui. Ci sono vasti campi di ortaggi e frutta, un caseificio e una piccola macelleria. Ma nulla di tutto questo è in vendita al pubblico. Come pure i cavalli, i maiali, le pecore e le mucche che qui nascono e muoiono. Il ministero della Giustizia non vuole commercializzarli. Eppure con quello che potrebbe essere ricavato della vendite si potrebbe sostenere la manutenzione della colonia, che invece ha molti problemi strutturali e pochi fondi.

 

 Durante il giorno i detenuti, lasciati liberi, sono impegnati nei lavori agricoli, al pascolo o nell’allevamento, nelle mansioni domestiche e nella manutenzione. Fino a un decennio fa c’era anche un piccolo villaggio, ormai abbandonato, in cui vivevano le famiglie delle guardie. Un agente di polizia penitenziaria, che oggi è in servizio a Mamone qui c’è nato, ed ha scelto di continuare a lavorarci, come già aveva fatto suo padre. E sempre qui, ha confidato ai colleghi, quando morirà, vorrà essere sepolto. Perché Mamone è l’unico carcere che ha un camposanto. Su una collinetta quasi un secolo fa è stata costruita una piccola cappella, attorno alla quale è sorto il cimitero. Si contano circa cento croci di ferro arrugginite piantate nel terreno, allineate in file da otto, sulle quali però non è scritto alcun nome. C’è pure qualche lapide di marmo, rovinata dal tempo. Su tutte sovrasta quella in cui è sepolto dal 1942 il medico del carcere. Lì a fianco c’è una più piccola: vi è sepolta una neonata, morta durante il parto alla vigilia di Natale di 50 anni fa. Storie di buoni e di cattivi. Che il carcere sardo incrocia.

 

da L’Espresso,

inchiesta Fra i dannati del 41 bis del 27 giugno 2011,

di Lirio Abbate

Contro

  • Isolamento totale dalla società, dalla famiglia, da attività trattamentali ad eccezione del lavoro.

  • Rischio di lavori forzati e abusi.

Pro

  • Risponde perfettamente alla necessità di sicurezza grazie all’isolamento naturale.

  • Grande disponibilità di luoghi per attività trattamentali e di spazi all’aperto.

  • Responsabilizzazione attraverso il lavoro.

  • Illusione di minor costrizione fisica.

  • Ambiente più salubre

ISOLA COLONIA PENALE

Le isole carcere sono sempre esistite, rappresentando il maggior grado possibile di distacco e separazione dalla società. Il loro spazio circoscritto permette di offrire ai reclusi attività all’aperto, apparentemente meno alienanti di una reclusione tra quattro mura.

Esse si riducono però spesso a lavori manuali forzati, non affatto graditi dai detenuti stessi.

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