Lo fecero scendere in un canotto, i quattro gendarmi lo seguirono, e mentre la catena che chiudeva il porto veniva abbassata l’imbarcazione si allontanò.
Trovandosi all’aria aperta, il prigioniero respirò a pieni polmoni la brezza che veniva dal largo. Poi egli vide con meraviglia che, passato il faro, la barca doppiava la batteria.
-Ma dove andiamo? Chiese Dantès a uno dei gendarmi.
-Non possiamo darvi nessuna spiegazione. Aguzzando la sua vista da marinaio egli vide che erano giunti all’altezza del villaggio dei catalani, dove brillava un solo lume. Dantès riconobbe che veniva dalla camera della sua fidanzata. Se avesse cacciato un grido, lo avrebbe sentito. Ma che cosa avrebbero detto quegli uomini sentendolo gridare come un pazzo?
Mentre Dantès pensava a Mercedes, i remi erano stati sostituiti dalle vele, e la barca, spinta dal vento, prendeva il largo.
-Camerata! Disse Dantès afferrando una mano al gendarme più vicino. –in nome della vostra coscienza, vi scongiuro di avere pietà di me! Sono il capitano Dantès, buon cittadino e leale francese. Ditemi dove mi conducete e, parola di marinaio, mi rassegnerò alla mia sorte.
Il gendarme si grattò l’orecchio, poi disse:- Siete marsigliese, e marinaio, e non sapete dove andiamo?
-No!
-Guardatevi intorno. Dantès si alzò in piedi e, a prua della barca, vide la roccia nera e ripida su cui s’abbarbica il cupo castello d’If. L’apparizione improvvisa di quella fortezza circondata dal terrore delle sue lugubri tradizioni fece su dantès l’effetto che fa il patibolo sul condannato a morte.
-Mio dio, il castello d’If! E che cosa andiamo a fare là? Il castello d’If è una prigione di Stato, destinata soltanto ai grandi colpevoli politici... io non ho commesso nessun crimine!
-Ci sono giudici d’istruzione, magistrati, c’è un governatore, ci sono i carcerieri, la guarnigione e delle solide mura, rispose il gendarme.
-Dunque, nonostante la promessa del Signor di Villefort mi si conduce al castello d’If per imprigionarmi?
-Non so se il Signor di Villefort vi ha fatto una promessa, disse il gendarme, ma è certo che andiamo al castello d’If. Ma che cosa fate? Olà, camerati!
Dantès stava per slanciarsi in mare, ma quattro polsi vigorosi lo trattennero mentre i suoi piedi lasciavano il fondo della barca. Egli ricadde dentro all’imbarcazione, urlando di rabbia.
-E così che mantenete la vostra parola di marinaio? Disse il gendarme, mettendogli un ginocchio sullo stomaco.
-Caro amico, fate un movimento e vi caccio una pallottola nella testa.
Dopo un momento, la piccola barca urtò contro la roccia. Uno dei barcaioli vi saltò sopra e ammarò l’imbarcazione. I gendarmi che reggevano Dantès per le braccia e per il collo della giacca lo costrinsero a rialzarsi, a scendere a terra e lo trascinarono verso gli scalini che salivano fino alla cittadella.
Dantès, stordito e barcollante come un ubriaco, vide i soldati che si scaglionavano lungo il pendio, e sentì una porta richiudersi alle sue spalle. Egli si guardò intorno, e vide un grande cortile circondato da altissime mura. Sentì il passo lento e regolare delle sentinelle, vide scintillare la canna dei loro fucili.
-Dov’è il prigioniero? Chiese una voce. Spinto dai gendarmi, Dantès si ritrovò in una sala quasi sotterranea, le cui pareti, impregnate di umidità, erano illuminate da un fanale posato sopra a uno sgabello.
Il carceriere disse:
-Per stanotte resterete qui. Il Signor Governatore è a letto. Qui c’è del pane, dell’acqua e della paglia. Buonasera.
Se ne andò portando via il lampione. Allora egli si trovò solo nel buio e nel silnezio, e il freddo glaciale di quell’antro gli piombò sulla testa in fiamme.
[...] Dantès si precipitò con la fronte contro la terra e pregò a lungo, mentre un torrente di lacrime gli sgorgava dagli occhi. Mangiò qualche boccone di pane bevve qualche sorso d’acqua, girò intorno alla sua prigione come una belva in gabbia.
Un pensiero lo tormentava più degli altri: se avesse saputo prima dove lo conducevano, avrebbe potuto buttarsi in mare, sotto l’acqua, nascondersi in qualche insenatura [...] Invece, aveva creduto alla parola di Villefort, e si trovava rinchiuso nel castello d’If. C’era da diventar pazzo.
da Il conte di Montecristo,
di Alexandre Dumas, 1844
Contro
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Isolamento totale dalla società, dalla famiglia, da attività trattamentali.
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Rischio di abusi per mancanza di controllo da parte della società.
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Totale alienazione.
Pro
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Risponde perfettamente alla necessità di sicurezza grazie all’isolamento naturale.
ISOLA FORTEZZA
Le isole carcere sono sempre esistite, rappresentando il maggior grado possibile di distacco e separazione dalla società. La segregazione spaziale complica e, a tratti, impedisce l’accesso delle reti sociali e familiari all’interno del carcere, negando i fini rieducativi della pena.
Sono proprio queste le caratteristiche che hanno determinato, con la fine degli anni di piombo, la chiusura degli istituti e ne incentivano, oggi, la loro riapertura.